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Vite perdute in mare : l’impunità della marina militare confortata dal silenzio di giustizia

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“[Il 27 marzo 2011], una piccola imbarcazione lasciava Tripoli con 72 persone a bordo e, dopo due settimane di deriva in mare, si incagliava sulle coste libiche con solo nove sopravvissuti. Nonostante le segnalazioni di soccorso registrate dal Centro Italiano di Coordinamento del Soccorso Marittimo, che l’aveva rapidamente localizzata, nessuno è intervenuto in soccorso dell’imbarcazione. Durante la deriva, il natante in difficoltà ha avuto numerosi scambi diretti con altri mezzi, tra cui un un elicottero militare, che si è limitato a distribuire biscotti e acqua senza mai fare ritorno, oltre a due pescherecci, che si sono entrambi rifiutati di fornire assistenza, e a una grande nave militare molto vicina, che ha semplicemente ignorato i suoi evidenti segnali di pericolo.

Questa tragedia in mare mette in luce una serie di omissioni : […] i centri di coordinamento del soccorso marittimo italiano e maltese non hanno avviato alcun’operazione di ricerca e salvataggio. Dal canto suo, la NATO, le cui navi militari si trovavano nelle vicinanze dell’imbarcazione al momento del lancio della richiesta di soccorso, non ha semplicemente ritenuto di dover dar seguito a tale segnale ».

Estratto del rapporto Vies perdues en Méditerranée : qui est responsable ? - Commission des migrations, des réfugiés et des personnes déplacées du Conseil de l’Europe, 29 marzo 2012.


In seguito a tale tragedia, i nove sopravvissuti della barca “Left to die”, sostenuti da nove ONG, hanno presentato una denuncia per omissione di soccorso davanti ai tribunali dei diversi paesi le cui flotte erano schierate nella zona di deriva dalla loro imbarcazione, nell’ambito dell’operazione della Nato in Libia.

Nel frattempo, il rapporto dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa e un’indagine condotta da Forensic Architecture avevano attentamente incrociato le testimonianze dei sopravvissuti con i documenti di navigazione dei diversi mezzi militari (aerei, elicotteri, navi) dispiegati nella zona alla data dei fatti [1]. Toccava ai tribunali fare il resto: raccogliere, nei vari paesi interessati, la versione delle autorità sulle probabili omissioni delle forze navali e aeronautiche potenzialmente coinvolte.

Dodici anni dopo, a cosa hanno condotto tali denunce? In Spagna e Belgio l’indagine si è conclusa con l’archiviazione. In Italia, dove una denuncia è stata introdotta, ben prima degli altri paesi europei coinvolti, appena due mesi dopo i fatti, un’importante indagine della Procura militare di Roma ha potuto chiarire certi aspetti della vicenda. Ad oggi, in seguito all’archiviazione del fascicolo penale, i superstiti proseguono l’azione civile. Sebbene le carenze e omissioni del dispositivo nazionale di ricerca e salvataggio siano state identificate sin dal 2012 dal Consiglio d’Europa, non si è ancora giunti a un riconoscimento ufficiale di responsabilità.

In Francia, un’indagine particolarmente frettolosa avrebbe consegnato il fascicolo all’oblio, se la perseveranza delle parti civili non fosse riuscita a ottenere dalla Corte di Cassazione e poi dalla Corte d’Appello di Parigi, nel 2022, l’annullamento della decisione d’archiviazione pronunciata quattro anni prima. Una svolta che aveva dato speranza alle parti in causa e alle associazioni che le sostengono che, a più di dieci anni dai fatti, le indagini potessero finalmente avere inizio...

Sembra tuttavia ormai chiaro che il sistema giudiziario francese non abbia particolar fretta di soddisfare le aspettative delle vittime. Eppure gli elementi in suo possesso dimostrano chiaramente che in almeno due occasioni lo Stato Maggiore ha mentito. Innanzitutto affermando che nessuna missione di pattugliamento in mare nel settore della deriva del Left to die Boat era stata affidata ai mezzi coinvolti nelle sue operazioni, salvo poi riconoscere, diversi anni dopo, che un aereo aveva effettivamente sorvolato il natante. In seguito, sostenendo dapprima che nella zona marittima attraversata dai boat people non si trovava alcuna imbarcazione francese, e finendo per smentirsi in una sua stessa comunicazione ufficiale che pubblicava una mappa del 2011 attestante il contrario. Una simile inerzia giudiziaria è ancora più insopportabile se si considera quanto i tribunali francese, italiano, greco e britannico siano solerti nel condannare i presunti trafficanti d’esseri umani a pesanti pene detentive – per aver ad esempio semplicemente condotto un’imbarcazione, utilizzato un GPS, chiesto aiuto – piuttosto che rendere giustizia ai sopravvissuti dei numerosi naufragi del Mediterraneo [2].

La lentezza della macchina giudiziaria, cui si aggiungono, in Francia, le menzogne ​​della Marina militare, non riusciranno a piegare la resistenza dei sopravvissuti della barca “left to die”. Per loro, per i loro 63 compagni di sventura visti morire davanti ai loro occhi, per tutti coloro che da anni sono vittime di una politica mortifera di controllo delle frontiere, continueremo a batterci, affinché le vite perdute non vengano cancellate una seconda volta dall’indifferenza generale.

18 aprile 2024

Organizzazioni firmatarie:

  • Asgi
  • Gisti
  • Migreurop

[2Quand les migrants victimes de passeurs sont jugés et condamnés à leur place, Libération, 14 novembre 2022.

Voir notre dossier « Left-to-die Boat »

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Ultimo aggiornamento : lunedì 22 aprile 2024, 11:38
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